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Gli erogatori in acque fredde


Di Pierluigi Da Rolt

L’esplorazione del mondo subacqueo ha avuto le sue origini in mare. All’inizio lo scopo delle immersioni era limitato alla pesca subacquea e poco importava, ai subacquei di allora, l’osservazione dell’ambiente che li circondava. Poi la voglia di conoscere di vedere e di scoprire ha spinto negli anni i subacquei ad esplorare altre acque che non fossero quelle marine ed i sub iniziarono a frequentare gli ambienti lacustri, le grotte ed i sifoni.

Naturalmente, con il passare del tempo, le aziende produttrici di attrezzature si sono adeguate a queste nuove esigenze, studiando e mettendo in commercio tutta una serie di prodotti atti a sopportare meglio le temperature di acque ben più fredde di quelle marine. Grazie a ciò ormai è consuetudine vedere subacquei immergersi nelle gelide acque dei laghi alpini o delle grotte, vestiti con le loro calde ed asciutte mute stagne, non solo, ma la pratica delle immersioni, dai soli mesi estivi, è stata estesa a tutto il periodo dell’anno. E gli erogatori? Anche in questo campo la tecnologia si è altamente evoluta ed i moderni erogatori, almeno alcuni modelli, sono in grado di essere nel vero senso della parola “messi in frigorifero” senza alterare le loro prestazioni. Le normative Europee dettano leggi ben chiare in materia e gli erogatori certificati per immersioni in acque fredde superano test molto rigorosi. Ma vediamo quali caratteristiche deve avere un erogatore per essere idoneo ad immersioni in acque particolarmente fredde. Iniziando da monte e cioè dai primi stadi, la prima considerazione riguarderà la loro tipologia. Come ben si sa, i primi stadi sono divisi in due grandi famiglie, quelli a pistone e quelli a membrana.


Premettendo che, al giorno d’oggi, alcune case hanno studiato e messo in commercio dei primi stadi a pistone con degli ottimi ed efficaci sistemi anti ghiacciamento, bisogna dire che questa tipologia di primi stadi, proprio per le loro caratteristiche costruttive, mal si presta ad immersioni in acque gelide. Il funzionamento di un primo stadio a pistone prevede che l’acqua, per trasmettere la pressione ambiente, penetri all’interno del corpo metallico, entrando in diretto contatto con molla e pistone. Da tale contatto e dall’ulteriore raffreddamento del meccanismo a causa del passaggio del gas, si possono formare dei cristalli di ghiaccio che, con l’attrito che causano, possono “grippare” il meccanismo e bloccarlo, solitamente in condizione di apertura. In conseguenza di ciò la pressione intermedia tende ad alzarsi, la valvola del secondo stadio non riesce più a trattenerla e, come risultato, si avrà una erogazione continua dell’apparecchio. I primi stadi a membrana, contrariamente, sono stagni, cioè la pressione ambiente viene trasmessa alla molla ed al meccanismo interno da una membrana che isola il tutto dall’acqua. Già questo rende in qualche modo l’erogatore più idoneo all’uso a basse temperature. Non solo, ma alcuni modelli prevedono, o di serie o opzionali, degli appositi kit anti congelamento. Nella quasi totalità dei casi si tratta di una pastiglia, contenente dell’olio o del gel siliconico, che viene posta sopra la membrana ed isola ulteriormente il meccanismo interno dall’acqua. Il funzionamento dell’erogatore non subisce alcuna variazione in quanto il liquido della pastiglia, essendo appunto tale e quindi incomprimibile, trasmette la stessa pressione che agisce su di esso, alla membrana.

Una piccola curiosità molto tecnica, certi speleosubacquei  usano riempire le pastiglie anti congelamento dei propri erogatori addirittura con alcol o con sostanze alcoliche, questo per scongiurare ulteriormente la possibilità di congelamenti che, in caso di temperature molto fredde o di permanenze molto lunghe, potrebbero colpire addirittura il liquido all’interno della pastiglia, rendendolo talmente duro da compromettere una corretta trasmissione della pressione ambiente. I secondi stadi. I migliori per immersioni in acque fredde sono indubbiamente quelli costruiti totalmente in metallo,  il metallo è un ottimo conduttore termico ed aiuta molto il meccanismo interno a rimanere “caldo”. Questo può essere un paradosso, dato che al tatto il metallo sembra sempre più freddo di qualsiasi materiale plastico, ma è proprio la sua conducibilità che aiuta la temperatura dell’acqua a “scaldare” il meccanismo interno. Tale naturale sistema anti ghiacciamento non esiste invece nei secondi stadi composti da casse in tecnopolimeri (per altro quelli di gran lunga maggiormente presenti in commercio), il sistema che viene applicato dai costruttori in questi casi è un piccolo prolungamento della parte metallica di innesto della frusta sulla cassa dell’erogatore. Tale inserto metallico solitamente ha forma strana e prevede delle piccole gole o fessure in tutta la lunghezza della circonferenza, questo al fine di aumentare la superficie di contatto metallo acqua. A questo punto vale la pena di ricordare che gli episodi di formazione di ghiaccio sono da imputare alle basse temperature dei gas che, in espansione prima dalla bombola al primo stadio e poi da questo al secondo, raggiungono temperature veramente “polari” e quindi ghiacciano le particelle di umidità. L’acqua, per quanto fredda sia, non raggiunge mai temperature tanto basse da formare ghiaccio perché, specialmente se acqua dolce, se arrivasse a temperature vicine alle zero, ghiaccerebbe essa stessa. Un esempio per tutti, basta aprire il flusso di una rubinetterie di una bombola, anche non “selvaggiamente”, per notare, dopo poco, una formazione di ghiaccio sulla superficie della rubinetteria stessa . Ma cosa si può fare? Sono molti gli accorgimenti per evitare il congelamento di un erogatore. Se si affrontano immersioni in luoghi ove la temperatura esterna è vicina o sotto lo zero, è opportuno montare gli erogatori in un luogo riparato e possibilmente caldo. Al momento di aprire la rubinetteria si eviti di agire sul pulsante di spurgo (come si fa normalmente per evitare danni all’erogatore), ma si apra la rubinetteria molto lentamente, in modo tale da dare il minimo stress hai meccanismi interni dell’erogatore evitando quel rapido flusso iniziale di gas. Non provare gli erogatori a secco prima dell’immersione. Iniziare la respirazione dall’erogatore con la testa già immersa. Addirittura certi subacquei adottano la tecnica di aprire le rubinetterie solo una volta entrati in acqua e quindi con gli erogatori allagati, pratica molto pericolosa per la reale possibilità di far entrare acqua, con le conseguenze che ben si conoscono, nei meccanismi interni. Insomma tutti questi accorgimenti sono atti ad evitare ogni erogazione rapida prima dell’immersione degli erogatori in acqua. Ma cosa si fa se? Partendo dal presupposto che una erogazione continua non dovrebbe mettere in seria difficoltà un sub provetto, in caso accada la prima norma, ovviamente, sarà quella di chiudere la rubinetteria collegata al primo stadio interessato (a tale proposito si ricorda che l’uso dell’octopus non è assolutamente indicato in condizioni estreme e che un’erogazione continua, in caso di utilizzo di questo tipo di configurazione, porta ad una interruzione della respirazione, in caso di chiusura del rubinetto, od ad una repentina perdita di tutta la scorta di gas). Ma attenzione, il meccanismo bloccato potrebbe essere sì quello del primo stadio ed in questo caso alla riapertura del rubinetto il problema si ripresenterebbe, ma il bloccaggio potrebbe, caso ben più frequente, essere causato dal ghiaccio nel secondo stadio. In questo caso, dopo aver chiuso il rubinetto, basterà attendere che il secondo stadio si allaghi per bene e l’acqua, con la sua temperatura sicuramente superiore allo zero, sciolga il ghiaccio. Si riaprirà il rubinetto e, come per incanto, l’erogatore ricomincerà a  funzionare regolarmente e il subacqueo potrà continuare la sua immersione. Quindi è d’obbligo provare a chiudere il rubinetto e riaprirlo per capire a che livello dell’impianto si è formato il ghiaccio. Se l’inconveniente si dovesse presentare più volte nel corso della stessa immersione, sarà opportuno sospenderla, evidentemente l’apparecchiatura che si sta utilizzando non è idonea a sopportare le temperature  del momento. Per concludere le immersioni in acque fredde non sono assolutamente da sottovalutare, anche se svolte a bassa profondità. Oltre all’ipotermia ed alle ben conosciute problematiche legate all’assorbimento e rilascio dei gas inerti nei tessuti, anche le attrezzature devono essere adatte allo scopo e ci consentano, senza creare problemi, di esplorare questi scenari subacquei che, per alcuni versi, nulla hanno da invidiare hai più blasonati fondali marini. 

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